Riportiamo il comunicato redatto dal Coordinamento Ricercatori Unipg, pubblicato dal Corriere dell’Umbria del 23 febbraio 2011:
La contestata legge 240/2010 di riforma dell’Università, entrata in vigore il 29 gennaio 2011, impone a ogni Ateneo di procedere in tempi brevi alla revisione del proprio statuto, in modo da renderlo conforme a quanto la legge stessa stabilisce. A redigere lo statuto dovrà essere, recita la legge (art. 2, comma 5), un’apposita commissione, composta, oltre che dal Rettore e da due studenti, da 12 membri designati dal Senato Accademico e dal Consiglio di Amministrazione.
Ebbene, cosa succede a Perugia? Che il Senato Accademico non si riunisce dal 21 dicembre 2010, e per ben quattro volte le sedute previste sono state annullate, e la stessa cosa accade per il CdA. Succede che alla richiesta, inviata al Rettore da 300 docenti ormai oltre due settimane fa, di procedere alla nomina dei membri della commissione secondo un criterio di rappresentanza paritaria delle tre fasce e del personale tecnico-amministrativo non è stata data, ad oggi, alcuna risposta.
Nel frattempo, del nuovo statuto si discute eccome: non, però, nelle sedi istituzionali preposte, bensì all’interno di riunioni ristrette, alle quali il Magnifico ha ammesso solo i vertici dell’Ateneo (presidi e alcuni direttori di dipartimento). E la commissione prevista dalla legge? Nulla se ne sa, se non che (sembra) sarà il Rettore in persona a decidere, quando gli parrà giunto il momento, i nomi dei dodici membri che ne dovranno far parte. Si potrebbe pensare che la stessa cosa accada negli altri Atenei italiani, o almeno nella maggioranza di essi, ma non è così. Da un monitoraggio realizzato dalla Rete 29 Aprile risulta infatti che, su 40 atenei censiti, solo per uno (Catanzaro) mancano ancora notizie ufficiali in merito alla nomina della commissione; in tutti gli altri casi, le commissioni sono già al lavoro e, con l’eccezione della sola Università di Bologna, comprendono una rappresentanza dei ricercatori. In alcuni Atenei (Trieste, Palermo) i membri delle commissioni sono stati eletti da tutto il corpo docente; in altri casi, come in quello dell’Università del Sannio, Senato Accademico e CdA hanno designato i membri della commissione a partire da una rosa individuata dalle facoltà. Quasi ovunque (Firenze, Bergamo, Torino Politecnico, Verona, Genova, Roma Sapienza, Pavia…), sono stati nominati nelle commissioni docenti individuati dalle rappresentanze di ciascuna fascia in Senato Accademico e CdA, con procedura analoga a quella richiesta nel documento (finora ignorato) dei 300 docenti perugini.
Se poi dal metodo passiamo al merito dei cambiamenti che si sta pensando di introdurre nella struttura del nostro Ateneo, da un resoconto fortunosamente “emerso” dalle riunioni riservate dei vertici dello Studium, già richiamato nell’articolo pubblicato dal “Corriere” il 19 febbraio, si evince che diverse linee-guida sono state già decise, e almeno una scelta assai rilevante è già stata effettuata, senza che un serio e democratico dibattito si fosse preventivamente aperto in proposito. Quella di Perugia, ci si dice, dovrà diventare una Research University, ovvero in futuro dovrà puntare non tanto sulla sua capacità di formare un alto numero di laureati, bensì sulle sue eccellenze nel campo della ricerca, con poli strutturati attorno a “piattaforme”. Si tratta di una scelta alquanto azzardata, forse giusta, forse no: di sicuro, l’indicazione di puntare fortemente sulla ricerca e, dunque, sulla riduzione del numero degli studenti iscritti (dagli attuali 30.000 a 18.000 al massimo, con le immaginabili conseguenze in termini di impatto sul tessuto socio-economico della città) proviene da quegli stessi vertici dell’Ateneo che, negli ultimi anni, hanno invece fortemente incentivato l’aumento smisurato dell’offerta didattica al fine di “catturare” quanti più studenti possibile, e hanno di fatto azzerato i finanziamenti per la ricerca di base, tagliato gli assegni di ricerca e deciso la chiusura di più di un dottorato. È normale, ci chiediamo, che siano costoro, da soli, a indicarci la strada migliore da seguire? E non è un paradosso che, nel momento in cui si decide di puntare tutto sulla ricerca, proprio i ricercatori vengano esclusi dal processo decisionale?
Attendiamo risposte, e speriamo davvero che, anche se tardive, siano convincenti.
Coordinamento Ricercatori Unipg