Il cinquanta per cento della biodiversità in Italia è contenuto o dipende in qualche misura dalle zone agricole che sono ancora un elemento importante del paesaggio italiano, uno dei più belli del mondo, con i suoi grandi casali, i campi , le siepi, i filari, le mandrie allo stato brado e le greggi transumanti dalle montagne.
Anche se di quel patrimonio qualcosa si è salvato – insinuato com’è fra periferie in tumultuosa espansione, strade e autostrade in perenne trasformazione e impressionanti distese di pannelli fotovoltaici – sono tuttavia preoccupato perché la campagna sta scomparendo dal DNA degli italiani: la mia generazione ha ancora un forte legame con la vita rurale, rappresentato dai padri, dai nonni, dai parenti che direttamente o indirettamente avevano a che fare con la campagna.
Purtroppo il ritmo di trasformazione del territorio è rapidissimo: si calcola che ogni anno almeno 50.000 ettari di esso vengano urbanizzati. Insomma in qualche modo smettono di respirare, la terra non scambia più l’ossigeno con l’atmosfera, l’acqua non penetra più nel suolo morbido e fecondo, ma vi scorre sopra più o meno rovinosamente.