(…) la crescita delle periferie urbane (…) fino agli anni Settanta è interpretata come una metafora virtuosa del progresso, una rappresentazione ideale di come il livello di integrazione delle classi meno abbienti possa progredire pur in presenza di una parallela crescita dei livelli di sensibilizzazione politica e sindacale e di conflitto sociale. L’utopia italiana, insomma. (…) dalla metà degli anni Settanta in poi il concetto di periferia ha perso ogni accezione progressiva per rimanere solo l’indicatore spaziale di un disagio fatto di distanza dal centro, carenza di servizi e infrastrutture, ritardo nell’integrazione, tensione sociale, senso di emarginazione. Un luogo, insomma, dal quale si voleva fuggire appena possibile. Dalla Enciclopedia Treccani online
“Nel corso del Novecento, la città ha subito una radicale trasformazione, un processo di cambiamento che ha raggiunto la sua massima esposizione negli anni 60.
La rapida crescita economica ha permesso alle città di espandersi senza però concedere il tempo di riconoscersi in una forma unitaria, un’identità comune.” In occasione dell’ESAME DI MATURITA’ 2014. Da Il Sole 24 Ore, intervista a Renzo Piano.