I depositi di un museo sono luoghi che nell’immaginario collettivo prendono spesso la forma di polverosi magazzini pieni di opere meravigliose, più o meno colpevolmente sottratte alla vista del pubblico.

La realtà è, per fortuna, ben diversa. Non soltanto la polvere è assente nei depositi – o almeno dovrebbe esserlo! – ma le opere che vi si conservano hanno ruoli e funzioni differenti nella dinamica del museo.

Alcune, come le riserve delle squadre di calcio, siedono in panchina, pronte a entrare in campo in sostituzione di altre temporaneamente in prestito o in restauro, altre ancora aspettano la visita di studiosi e conoscitori che possano studiarle e meglio valorizzarle, altre infine – pur pregevoli, talvolta bellissime – portano su di sé troppe offese del tempo perché possano essere esposte al pubblico e debbono accontentarsi di qualche amicale visita degli addetti ai lavori, pronti a intenerirsi gozzanianamente di fronte a alla sfiorita bellezza che fu.

Vi si trovano infine brutti anatroccoli destinati a rimaner tali, ma anche nei loro confronti il deposito si mostra accogliente e materno, offrendo un posticino nelle rastrelliere anche a chi non ha quarti di nobiltà o raffinati lineamenti da esibire.