Che gli interventi finanziari, tagli mascherati da “razionalizzazioni della spesa” e ammantati di retorici obiettivi e fuorvianti propositi di imporre maggiore severità, decretati e declamati dal ministro Gelmini, abbiano sortito l’effetto di impoverire ulteriormente l’offerta formativa della scuola pubblica,
attraverso decurtazioni dell’orario soprattutto in relazione al tempo prolungato nella scuola primaria e ad alcune materie di studio nella scuola secondaria, attraverso la diminuzione dei fondi destinati ai progetti integrativi di cui i singoli istituti dispongono, il tutto con ricadute soprattutto sulla qualità dell’offerta didattica stessa (classi più numerose, meno mezzi con i quali operare, docenti messi in condizione di lavorare ottenendo meno gratificazioni, più confusione e prospettive di soddisfazione professionale sempre più precarie, funzionamento dell’organizzazione didattica sempre più affidato alla dedizione personale, al buonsenso ed all’iniziativa disinteressata di molti insegnanti…) sono informazioni note. Oltre al fatto che il ministro ha sempre risposto con ipocrita e strafottente arroganza alle rimostranze di tutti i soggetti coinvolti (personale docente e non docente, scuola, famiglie), e soprattutto alle continue, esasperate e clamorose proteste dei numerosi precari, negando persino l’evidenza, bollando le manifestazioni come “vecchi slogan di propaganda già sentiti” e dimostrando con questo atteggiamento anche una profonda ignoranza ed incompetenza rispetto ai problemi reali che il sistema scolastico del nostro Paese, ad ogni ordine e grado, presenta.
Io sono un’insegnante di lettere di scuola media, vivo a Roma e svolgo con passione la mia attività, ed ho avuto la fortuna di ottenere l’incarico di ruolo nel 2007.
Vorrei però testimoniare la portata dei problemi che attanagliano la scuola italiana, alcuni endemici e oggettivamente di difficile soluzione, altri però che costituiscono un sintomo allarmante di quel disegno nascosto orientato a trasformare il diritto allo studio in un privilegio; e lo faccio segnalando piccoli episodi a cui mi è capitato di assistere, i quali a mio avviso danno la misura della crisi profonda in cui versa l’organizzazione dell’istruzione, ma anche della ricerca e della cultura, in questo Paese.
Mi riferisco ad una madre, che disperata è giunta un giorno nell’istituto nel quale io presto servizio, chiedendo di poter iscrivere il figlio, poiché aveva girato tutte le scuole del circondario e non aveva trovato posto, e si è sentita rispondere che le iscrizioni erano esaurite anche da noi (parliamo di scuola dell’obbligo!); e tutto questo perché l’Ufficio scolastico regionale non consente di formare ulteriori sezioni, per poter esaudire tutte le richieste di iscrizione, sempre al fine di risparmiare docenti da retribuire.
La cubatura delle aule non consente di inserire alunni oltre un determinato numero massimo, in ottemperanza alle esigenze di sicurezza stabilite dalla legge, ma anche perché lavorare con classi eccessivamente numerose diminuirebbe inevitabilmente l’efficacia del lavoro dei docenti.
Ma dei genitori che non possono permettersi in alternativa di iscrivere il proprio figlio ad una scuola privata (le scuole private, per inciso, continuano per contro ad essere sempre più favorite dalla “riforma”, in quanto oltre a ricevere le già cospicue rette dell’utenza, sono beneficiate anche dai finanziamenti statali, che anzi sono aumentati e corrispondono esattamente a quanto è stato sottratto alla scuola pubblica), o che non possono accompagnare ogni giorno i propri figli presso una scuola molto distante (immaginate le difficoltà logistiche in una città come Roma), cosa dovrebbero fare? Attendere i carabinieri e rendere conto alle istituzioni del fatto che viene di fatto loro impedito di assolvere all’obbligo scolastico? E’ questa l’idea di scuola del futuro verso cui si è proiettati in un Paese che si proclama civile? Su cosa si costruisce un’autentica civiltà se non su solide basi culturali e investendo sulla possibilità che tutti i propri cittadini ricevano un’adeguata istruzione ed un incentivo a contribuire all’arricchimento del patrimonio culturale collettivo?
Dove va un popolo al quale, per il profitto di un’oligarchia senza scrupoli, si prospetta come unica alternativa all’impegno, alla scoperta ed all’attiva utilizzazione delle proprie risorse cerebrali, la facile e lusinghiera fruizione di subdoli e diseducativi programmi televisivi o il ricorso ad altre forme di intrattenimento mediatico che certamente non costringono ad esercitare la facoltà di pensare autonomamente e capire ciò che accade intorno?
Voglio anche denunciare il caso di un istituto socio-psico-pedagogico di Roma, in una classe del quale il primo giorno di scuola si è constatato che era composta da ben quarantacinque studenti.
Per fortuna questi, assieme ai propri genitori, hanno reagito e si sono rifiutati di iniziare l’anno scolastico in queste condizioni.
Dico per fortuna perché la speranza è che esista ancora una soglia della tollerabilità oltre la quale l’indignazione sia capace di manifestarsi in questo Paese, dato che si assiste ad una sempre più preoccupante e rassegnata assuefazione o disinformazione riguardo all’assurdità di molte situazioni socio-politiche di una gravità inaudita, che purtroppo sembrano ormai sempre più frequenti, addirittura di ordinaria amministrazione.
E’ possibile che di fronte allo sfacelo di settori nevralgici e strategici come la scuola e la ricerca, l’assistenza sanitaria pubblica, la carenza infrastrutturale perenne, la libera informazione, la tutela del lavoro, e via di seguito, si sia ormai come anestetizzati, obnubilati e manipolati ad oltranza da imbonitori più o meno dichiarati?
C’e bisogno che questi ed altri fatti scandalosi si sappiano, vengano alla luce, che ne discuta anche chi non opera nel mondo della scuola come addetto ai lavori, ma anche come fruitore, sia pure potenziale o indiretto.
Non c’è dubbio che vi siano delle disfunzioni e delle annose carenze strutturali da risolvere, ma non è certo sottraendo mezzi e soffocando il dibattito ed il democratico confronto di idee tra esperti e altri soggetti interessati che si possano prefigurare valide soluzioni.
Se mi è consentito, vorrei riportare il testo di una lettera indirizzata da un professore di Palermo, Roberto Albertini, al giornale “La Repubblica” del 20 giugno 2010, che ho conservato con interesse ritenendola illuminante: “Faccio l’insegnante da 35 anni. Ho visto il deperimento sociale e culturale a cui le nostre classi dirigenti hanno condannato la scuola.
Non ho mai pensato di condurre una vita dispendiosa ma, speravo, almeno dignitosa.
Sul finire della mia carriera vengo a sapere di essere una delle cause del dissesto dei conti pubblici.
Mi viene cancellato l’ultimo prossimo scatto di stipendio che precede la pensione, unico meccanismo di incremento retributivo per noi insegnanti.
Col blocco triennale dei contratti la mia liquidazione e la mia pensione verranno fortemente decurtate. Una preghiera: nessuno parli più dell’importanza della scuola, del valore del mestiere dell’insegnante”.
Concludo, unendomi a questo accorato appello, con un dato: l’Italia è l’unico Paese europeo ad aver tagliato, in tempi di crisi, i finanziamenti destinati all’istruzione.
Abbiamo il dovere morale e civile di portare a conoscenza di una larga parte della popolazione questo ed altri scempi che non fanno onore al nostro Paese.