corteo_impastatoSono stati in tanti (5 mila secondo la Questura, probabilmente assai di più), sabato 26 a Ponteranica, un bel corteo coloratissimo. Chiedevano che tornasse al suo posto, nella biblioteca comunale, la targa che la dedicava a Peppino Impastato, fatta rimuovere dal sindaco leghista. La notte di venerdì c’era stata una provocazione: qualcuno aveva tagliato l’ulivo della pace piantato in ricordo di Peppino. Al suo posto si è trovata la sagoma di un piccolo pino e un biglietto firmato “ol Bepi de Potranga” (il Bepi di Ponteranica) con su scritto “Mé ché öle ü paghér” (io qui voglio un pino). La messa in scena fa escludere l’estemporanea bravata di un gruppetto di ubriaconi. La cosa è pensata e studiata, molto probabilmente in ambienti leghisti, il che ha indotto Giovanni Impastato a dichiarare: “Non è solo ignoranza, è un progetto più ampio con la Lega come uno dei fautori; queste sono azioni di fascismo o razzismo, non importa se dal nero siamo passati al verde”. Sì, sono fascisti e razzisti, ma anche ciechi e illusi se pensano che mafia e antimafia siano questioni meridionali, che il Nord sia immune da infiltrazioni e i Nordici immuni da inquinamenti.
Su questo, in verità, sono in tanti a farsi illusioni. Anche a Perugia e in Umbria. La Confindustria per esempio. Un suo rappresentante, in un dibattito del 9 settembre alla festa provinciale del Pd, ha dichiarato senza essere sfiorato dal dubbio che riciclaggi, acquisizioni e infiltrazioni mafiose in Umbria riguardano quote infinitesime dell’economia regionale. E’ la classica politica della scimmietta che non vede non sente non parla. Gl’industriali non amano che si metta il naso nelle loro faccende, temono che i controlli antimafia rivelino altre magagne, piccole e grandi, e forse qualcuno pensa (come è accaduto a certi politici) di usare le mafie o almeno i loro capitali senza farsi usare. In Italia, del resto, da qualsiasi latrina provenga, il denaro prima o poi perde ogni odore, santificato da un condono e protetto da uno scudo.
A Gubbio, tre giorni dopo, nella cosiddetta “scuola”, il raduno di Forza Italia (oggi del Pdl) inventato da Baget Bozzo e organizzato da Bondi, c’è un curioso siparietto. Il presidente del Senato, il palermitano Schifani, riprende le critiche ai magistrati colpevoli di riesumare alcune inchieste dei primi anni Novanta in cui sarebbe coinvolto l’attuale Presidente del Consiglio; ma il Ministro della Giustizia, l’agrigentino Alfano, dichiara la sua piena fiducia nella magistratura. Il bastone e la carota. O il gioco delle parti, tanto per citare l’agrigentino Pirandello.
Il ministro approfitta della platea anche per salutare come un grande successo le ultime inchieste contro le mafie e le nuove misure legislative di contrasto, che riguardano la confisca e l’uso sociale dei patrimoni illecitamente accumulati. D’ora in poi l’affidamento ai prefetti accelererà i tempi, si potranno confiscare i beni trasmessi agli eredi dai boss defunti, si introdurrà il sequestro  per “equivalenza” che consente allo Stato di strappare ai criminali case e terreni di provenienza lecita (per esempio ereditati) in sostituzione di quelli acquisiti con il malaffare e “fatti sparire”.
Maroni, intanto, mentre dalle sue parti tagliano gli ulivi e defiggono le targhe, grazie alle operazioni di polizia e carabinieri, di recente portate a termine, giura che passerà alla storia come il ministro che debellò il crimine organizzato.
Siamo chiari. Le nuove leggi sono opportune e qualcuna (quella sulle eredità mafiose) ha già mostrato la sua efficacia. Le inchieste, gli arresti di latitanti, i rinvii a giudizio non sono peraltro un’invenzione propagandistica. Ma tutto ciò sembra in netto contrasto con altre scelte del governo: la legge sulle intercettazioni e lo scudo fiscale. Schizofrenia?  Non crediamo. C’è una logica che alle persone per bene può sembrare perversa, ma c’è. L’una e l’altra delle leggi in cantiere sembrano fatte apposta per proteggere il terzo livello e la zona grigia, cioè quei politici, imprenditori piccoli e grandi, professionisti, affaristi di ogni genere, che, interni alle mafie o in collusione con esse, contribuiscono a costruirne la potenza economica, più pervasiva e avvolgente della stessa potenza di fuoco. Questo mondo, a giudicare da condanne, processi in corso, relazioni pericolose notorie, è probabilmente ben rappresentato nella maggioranza governativa. L’invito implicito che il governo sembra rivolgere è di ripulirsi, di recidere i legami con la “mafia militare”, di rientrare nella legalità insieme ai capitali protetti dall’omertoso scudo fiscale.
Forse non è un caso il fatto che autore dell’emendamento che ne amplia a dismisura le maglie non sia un senatore proveniente dal mondo dell’economia e delle banche, ma un giornalista siciliano, un tal Fleres il quale, non fosse altro che per origine e mestiere, è buon conoscitore di “altri mondi”. L’aspetto più scandaloso del provvedimento è in ogni caso l’estensione della “copertura” ai reati tributari, al falso in bilancio e alla distruzione di documenti contabili. Ciò renderà impensabili non solo operazioni del tipo di quella che molti decenni fa incastrò Al Capone, ma anche le indagini svizzere alla Falcone, quelle che nei santuari di Zurigo e Lugano, con il concorso della sua amica Carla Del Poggio, gli consentirono di trovare a bizzeffe i riscontri bancari delle testimonianze di Buscetta e degli altri pentiti.
Leggi di questo tipo di sicuro non aiutano la lotta alla mafia. Il messaggio che contengono è che l’importante non è rispettare le leggi, ma farla franca. E’ quello che ha segnalato Marcello Cozzi, della segreteria nazionale di Libera, nel dibattito perugino di cui si è detto, estendendo la polemica verso altri leggi e lodi che garantiscono impunità alla prepotenza e al malaffare e verso le norme che lasciano intravedere una sorta di “mafiosità di stato”, per esempio quelle sulla sicurezza e sul reato di clandestinità.
So che codeste fortissime obiezioni etiche non riescono a scalfire le sicurezze dei cinici. Ci sono quelli che dicono che alla fine, se i capitali con lo scudo e i mafiosi senza coppola si ripuliscono e rientrano nella legalità, è meglio per tutti. A parte i prevedibili micidiali contraccolpi da parte della piovra, una simile prospettiva non mi sembrerebbe accettabile neppure se fosse verosimile. Non lo è a maggior ragione perché del tutto velleitaria. Immaginarsi che mafiosi e complici delle mafie ripuliti possano dare un contributo a un’economia sana a me pare pazzia, tanto più che il pozzo dei denari provenienti dalla droga non sembra destinato ed esaurirsi in breve tempo e che l’attrazione dell’illegalità è fortissima in chi l’ha già fatta franca.
Salvatore Lo Leggio
Settembre 2009