maxxi_agrpress_1Secondo le teorie di Von Bertaganffy un sistema è un insieme di parti in interazione che scambiano materia, ordine ed energia; ma se un sistema è chiuso come può sembrare nel caso del monumento di Zaha Hadid, l’entropia aumenta insieme alla disorganizzazione, al disordine e alla mancanza di informazioni.

Ed è così che si svela il MAXXI, un investimento libidico che recide ogni contatto e scambio con l’esterno.
Un mausoleo al narcisismo di una delle archistar del momento?

Avviciniamo lo sguardo: acciaio, cemento e vetro, i sacri elementi del razionalismo, rivisitati in chiave contemporanea attraverso linee curve e continue, esaltano il movimento e la velocità; in effetti, le coperture del MAXXI ricordano le strade, le ferrovie della capitale.
Il visitatore “guida” in questo insolito spazio a suo piacimento generando un rapporto virtuoso tra gli ambienti delle esposizioni e gli spazi che li collegano, tra intimità e dispersività.
La Hadid ha utilizzato tre colori: il bianco per l’intera struttura, il nero per i collegamenti, le scale, le passerelle e il rosso, puramente estetico, che corrisponde ad elementi orizzontali che si impongono nella bianca purezza degli interni.
La scelta cromatica è discutibile… intanto PRADA ringrazia!
Nell’insieme il Centro per le arti contemporanee è user-friendly; vagare per il MAXXI è divertente ma non vi è una effettiva organizzazione dello spazio: ogni sala è uguale ad un’altra in potenza, non vi sono gerachie e tutto sembra dislocato alla stregua di un caotico deposito merci.

Qualcosa di buono la Hadid l’avrà pur fatto…
Il progetto si inserisce all’interno di una visione ben più vasta: insieme al vicino Ponte della Musica (in corso di realizzazione), all’Auditorium di Renzo Piano e allo stadio Flaminio (chi non ha ancora visto una partita del ‘Sei Nazioni’?) ha rivitalizzato ottimamente il quartiere Flaminio seppur centrale ma poco frequentato (la sua natura è infatti prettamente residenziale) che pur tuttavia dovrebbe diventare uno dei poli eclettici della capitale.
Questa ultima riflessione è utile come esempio virtuoso per la nostra Perugia, carente di vere e proprie calamite plurifunzionali, durature nel tempo e nello spazio.

Pietro Pedercini (specializzando perugino in Architettura al Politecnico di Milano)